Matera 2019, capitale europea della cultura. Fra i sassi si cammina su e giù per scale arzigogolate e aperture in ogni dove, sarebbe stato bello poter entrare ovunque ma non è stato possibile. Una città strana, ferma e in movimento allo stesso tempo dove il tempo sembra eterno. È la città più abitata da sempre. Grandi e piccole case scavate nella roccia, chiese rupestri da far rimanere incollati dalla bellezza. E poi la consapevolezza mista a l’inconsapevolezza di vivere quei luoghi, proprio da chi ci vive.

In tutto ciò, nella bellissima chiesa rupestre, Madonna delle Virtù del XII secolo, interamente scavata nella roccia e riportata alla sua vera splendida essenza nel 1967 dopo essere divenuta una discarica verso la fine del 1600, è stata installata una meravigliosa mostra di Salvador Dalì che prosegue nel complesso rupestre di San Nicola dei Greci, dove le sculture dentro la scultura delle chiese stesse, vengono perfettamente inglobate creando un equilibrio apparentemente impossibile, ma oggettivamente di effetto. Come se ci fossero state da sempre. La persistenza degli opposti è il titolo della mostra e i quattro temi rappresentati dall’artista attraverso la scultura sono tutti assolutamente coinvolgenti.

Ma ce n’è uno fra tutti che mi colpisce sempre ed è “il tempo”. Una vera e propria ossessione per l’artista che lo studiò sotto ogni aspetto: da quello scientifico a quello psicanalitico. Ma non solo per lui. La sensazione che si ha davanti a queste opere è quello di eternità, ma allo stesso momento anche di un tempo effimero che fugge e se ne va via come sabbia al vento. Ho sempre creduto fermamente che le opere siano di chi le osserva, e lo credo ancora. Lì davanti al “Cavallo spaziale” con la sella a forma di orologio molle, o alla “Donna del tempo” mi ritrovo ancora a pensare di essere eterna ma anche effimera. Di non perderlo questo tempo, di vivere le sensazioni che l’esistenza offre, intensamente, e senza perderne neanche una virgola. Accanto alla scultura della donna è scritto: “la giovane raggiante porta l’orologio molle, anche in questo caso come per ribadire il concetto che è stato l’uomo a dare la struttura al tempo. L’artista lascia che sia l’orologio a porre il quesito: la bellezza è eterna o dipende dal tempo? L’orologio allude alla consapevolezza della donna che la bellezza può prescindere dal tempo, che si tratti di grazia corporea o di una rosa eterea”.

E sì, lo credo anche io, la bellezza può prescindere dal tempo.

Ciò che diventeremo fuori probabilmente non sarà al passo col tempo imposto dalla società che vivremo nel nostro futuro adesso. Ma la nostra bellezza sarà fatta della storia del nostro vissuto, racconti, dolori, turbamenti e piccole felicità nascoste nelle ombre di un viso che cambia. Nelle rughe come tortuose strade percorse. Nello sguardo profondo di chi ha vissuto profondamente la propria vita, ma se è stato molto attento, anche la vita nell’animo degli altri. Saremo straordinariamente belli e stracolmi di un tempo vissuto lunghissimo nella sua brevità e intenso nella sua potenza, così personale e così fitto da confondere chi di bellezza, e di tempo, ne saprà ancora poco.

Il tempo per qualcuno è un orologio da polso da guardare in modo ossessivo, per altri un orologio molle come per Dalì, o ancora un solo attimo chiuso in un viaggio che percorre presente passato e futuro nello stesso istante. Oppure, è un orologio appeso al muro senza lancette, esattamente come quello che ho da anni nel mio studio perché quando si crea, si immagina, si trasforma, si è sospesi e il tempo, semplicemente, non c’è.